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DALLA CONSULTAZIONE ALLA CO-PROGETTAZIONE: UN’ITALIA A MACCHIA DI LEOPARDO

L'idea di cp-progettazione è stata introdotta in Italia con la legge numero 328 del 2000

Un articolo sull’applicazione della co-progettazione in Italia di Elisabetta Bianchetti, da VDossier n. 3 2016.

Un nuovo concetto nella partecipazione alle politiche sociali, quello della co-progettazione – che ridefinisce il rapporto tra enti pubblici e soggetti del Terzo settore – è introdotto in Italia con la legge numero 328 del 2000. Negli anni Ottanta e Novanta, tanti studiosi, funzionari pubblici e operatori sociali sottolineavano i vantaggi degli approcci partecipativi in termini di valore aggiunto e di potenzialità per la realizzazione di sistemi di welfare.

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La co-progettazione ridefinisce il rapporto tra enti pubblici e Terzo settore

Allo stesso tempo alcune teorie, relative alla partecipazione nell’ambito della comunità civile, si concentravano sull’idea che il coinvolgimento degli attori nei processi decisionali, riguardo alle questioni collettive, portassero importanti benefici sociali diretti e anche di natura economica e politica. Secondo gli studiosi Colombo e Gargiulo (nel paper “Tra retoriche della partecipazione e opacità delle dinamiche istituzionali. I discorsi dei documenti di programmazione sociale di alcune grandi città italiane”, presentato alla Conferenza di Espanet del 2012) la legge 328/2000 ha rappresentato il punto di arrivo di un processo di localizzazione del welfare partecipativo grazie al Dpr 616 del 1977, che affidava ai comuni le competenze di gestione anche in campo sociale, prima svolte da uffici nazionali.

Successivamente, con la riforma del Titolo V della Costituzione, le Regioni hanno acquisito in modo esclusivo il potere decisionale sulle politiche sociali, potendo così decidere se rimanere nel solco tracciato dalla legge 328/2000 o se, viceversa, costruire forme alternative di welfare locale (Annalisa Gualdani, “La legge 328 dopo la riforma del Titolo V della Costituzione”. In “La riforma dei servizi sociali in Italia. L’attuazione della legge 328 e le sfide future”, a cura di Cristiano Gori, Carocci, 2004)

Il processo di localizzazione

A questo punto, per le Regioni che hanno fatto propri i principi contenuti nella Legge quadro sul sistema integrato di interventi e servizi sociali, è diventato centrale il processo di localizzazione dei diritti, attraverso lo strumento dei Piani di Zona.

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Le associazioni, anche quando sono incluse, hanno spesso un ruolo nella gestione dei servizi sociali, ma non nella loro progettazione

Eppure le esperienze legate alla Legge 328/2000, come emerge da alcune ricerche (Cataldi- Gargiulo e De Ambrogio), mostrano come i soggetti che sono riusciti a “entrare” nei luoghi della programmazione spesso non hanno realmente partecipato alle decisioni, ma sono stati semplicemente consultati: «In sintesi, se i cittadini, di fatto, sembrano essere quasi sempre esclusi dalla partecipazione ai processi decisionali dei Piani di zona, le associazioni del Terzo settore appaiono tanto più incluse quanto più sono strutturate e istituzionalizzate. Tali associazioni, comunque, anche quando sono incluse, spesso sono coinvolte in un ruolo ancillare», quello della gestione dei servizi sociali e non della loro progettazione o della definizione delle modalità integrate di intervento.

Da queste premesse, legate al termine progettazione partecipata, si è passati poi al concetto di co-progettazione. Secondo Ugo De Ambrogio, sociologo, presidente Irs (Istituto per la ricerca sociale), docente all’Università Bicocca di Milano, nel libro scritto a quattro mani con la collega Cecilia Guidetti, dal titolo “La coprogettazione. La partnership tra pubblico e terzo settore” (Carocci Faber, 2016), si tratta di una modalità di relazione diversa che intende promuovere il cambiamento costruendo un’idea di welfare differente, nella quale si rivedano i modelli fin qui adottati.

Un’autentica partnership

L’innovazione consiste nel fare un passo avanti rispetto al passato, dal rapporto committente-fornitore ad una vera e propria partnership dove progettualità, operatività e responsabilità sono condivise dall’inizio alla fine. Infatti, in passato, è accaduto che la parte iniziale del percorso progettuale non ha previsto il coinvolgimento di tutti i partner, chiamati solo in un secondo momento, quello dell’affidamento e della gestione.

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Il salto della co-progettazione rispetto al passato è la corresponsabilità che la partnership pubblico/terzo settore comporta

La co-progettazione è quindi «una modalità di lavoro congiunto fra pubblico e privato che investe l’intero processo di costruzione di una politica sociale dalla fase di ideazione a quella di progettazione vera e propria, a quella gestionale, di intervento, fino alla sua valutazione». Inoltre «la co-progettazione è un’occasione di incontro fra soggetti diversi che ha potenzialità generative se costruiscono fra di loro un legame positivo che li valorizzi entrambi e che produca valore aggiunto».

Ma in cosa è diverso questo tipo di rapporto rispetto al passato? I due studiosi rispondono che la cifra specifica è «la corresponsabilità con relativa assunzione dei rischi; non si tratta più, come nelle precedenti forme, di utilizzare risorse pubbliche date a priori, ma di integrare le risorse esistenti e trovarne e investirne di nuove per promuovere percorsi virtuosi di sviluppo sociale». E non riguarda più soltanto i Piani di Zona, diffusi in quasi tutte le Regioni, ma per citare alcuni esempi anche bandi europei e italiani, contratti di quartiere e patti territoriali. Il Terzo settore, quindi, è passato da puro fornitore di servizi e attività negli anni Ottanta, a soggetto presente nei tavoli tematici dei Piani di Zona dagli anni Novanta in poi fino al 2010, dopo la crisi, come partner nei tavoli coprogettuali.

Dopo vent’anni dalla legge 328, complice anche la crisi e gli stimoli favoriti dalla progettazione europea, trova attuazione il principio che vede enti locali e del privato sociale finalmente alla “pari” che modifica “il carattere dei loro “contratti” e li invita a coprogettare, facendo i conti con nuove modalità operative e interorganizzative e con innovative strategie relazionali da mettere in campo”.
Non a caso, De Ambrogio e Guidetti citano il dizionario Garzanti, alla voce partenariato: «Un accordo di partecipazione a un’impresa fra due o più enti o Paesi, per il raggiungimento di obbiettivi comuni”, il partner è a tutti gli effetti il “socio in un’attività”». Co-progettare dunque è fare progettazione partecipata fra soci. “Non è più semplicemente (come avveniva per i Piani di Zona) essere consultati e dire la propria per fornire un’opinione a un tavolo al fine di favorire decisioni che saranno poi prese da altri; coprogettare, invece, è assumersi onori e oneri di un’impresa alla pari con i propri soci”, sostiene De Ambrogio.

Nei Piani di Zona invece l’ente pubblico si limitava a consultare i partecipanti ai tavoli, ma progettava in proprio e il Terzo settore riceveva poi i risultati di un lavoro fatto da altri. Secondo uno schema di Paolo Fareri, “Rallentare. Il disegno delle politiche urbane” (opera pubblicata da Franco Angeli nel 2009 e menzionata dai due sociologi), la partecipazione vera e propria prevede «la definizione collettiva di finalità, obiettivi e metodi della progettazione ed elaborazione di decisioni condivise. Mentre gli attori esprimono interessi e competenza rispetto al problema e sono disponibili ad assumersi responsabilità e rischi di impresa».

Gli elementi cruciali della co-progettazione

Secondo De Ambrogio e Guidetti sono due gli elementi cruciali della co-progettazione:

  • la rappresentatività del Terzo settore: nei rapporti con l’ente pubblico dovrà costituire aggregazioni di soggetti (Associazione temporanea di scopo o Associazione temporanea di imprese);
  • la suddivisione di compiti e funzioni, onori e oneri e anche cofinanziamenti.

Il successo di progettazioni territoriali efficaci è caratterizzato soprattutto da “contratti” che prevedano «corresponsabilità e reciprocità fra partner, all’interno dei quali si possano concordare i comuni obiettivi di lavoro e, partendo dalle aspettative di ciascuno, i ruoli che saranno ricoperti all’interno del progetto e i relativi compiti e responsabilità. Inoltre è fondamentale determinare tempi e carichi di lavoro». Quindi una buona progettazione è la base per costruire dei percorsi virtuosi.

La fotografia

Ma qual è la situazione attuale nel nostro Paese? Le Regioni hanno sviluppato normative e strumenti differenti negli accordi con il Terzo settore, contraddistinte o da accordi di collaborazione (art. 119 del D.Lgs. 267/2000 “Testo unico enti locali”) o da accordi procedimentali (art. 2 della legge 241/1990). Queste Regioni sono: Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte e Puglia. La Regione Veneto invece prevede il conferimento della titolarità della produzione ed erogazione di servizi sociali, anche attraverso la concessione (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture D.Lgs. 163/2006).

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Una buona progettazione è la base per costruire dei percorsi virtuosi

La legge 328/2000 prevede come strumenti di attuazione l’accreditamento e l’istruttoria pubblica di co-progettazione. Quest’ultima è stata confermata anche nella delibera dell’Autorità nazionale anticorruzione (32/2016) che lo riconosce quale strumento per la definizione di attività e interventi complessi, tra amministrazioni e privato sociale, in una logica di partenariato.
L’accreditamento, con tutti i limiti di rigidità, ha comunque favorito alcune esperienze di progettazione condivisa nelle quali il Terzo settore ha potuto portare la propria esperienza e visione generando una serie di servizi di qualità. Mentre l’istruttoria pubblica di co-progettazione è un rapporto che non nasce sulla base della gestione di un servizio, bensì dalla sua progettazione, rimanendo la fase realizzativa in qualche modo sullo sfondo.

Purtroppo le disposizioni normative al riguardo sono frammentarie e delegate alla legislazione regionale che entra nel merito degli indirizzi procedimentali attraverso “provvedimenti deboli” come deliberazioni delle giunte, definizione di linee guida o decreti dei direttori generali. Ne consegue che non essendo riconducibile all’appalto o ad altre forme contrattuali, non dà luogo ad un corrispettivo in cambio di una prestazione. Il libro “La coprogettazione. La partnership tra pubblico e terzo settore” propende per l’ipotesi di un Regolamento locale per la co-progettazione che «non debba assolvere solo il ruolo di stabilire delle regole procedimentali, ma anche esplicitare e stabilire i principi ispiratori dei rapporti di sussidiarietà dell’ambito territoriale. Questo attraverso una procedura di istruttoria pubblica, criteri di valutazione e modalità di scelta dei soggetti coprogettanti e la compartecipazione ai costi della co-progettazione, che costituiscono in qualche modo gli elementi più delicati del processo sin qui descritto».

A che punto siamo

Quanto descritto finora non può che generare un quadro confuso e indefinito dove la parola “co-progettazione” è usata più come pretesto e non come processo. «Succede, allora, che alcuni Comuni decidano di avviare percorsi di co-progettazione con il Terzo settore locale senza prima domandarsi se si tratta dello strumento giusto per il tipo di intervento che intendono realizzare e senza sapere con precisione cosa fare e come organizzare il percorso di individuazione dei partner, di progettazione e di realizzazione; spesso, anzi, lavorando in partenariato con le organizzazioni del privato sociale solo nella fase strettamente progettuale, per poi procedere come in una qualsiasi altra forma di affidamento, appalto o esternalizzazione». La co-progettazione invece è «allo stesso tempo uno strumento amministrativo e un metodo di lavoro» e per un ente pubblico «intraprendere la strada della co-progettazione non significa solamente modificare le proprie procedure amministrative, ma rivedere complessivamente il modo in cui si producono gli interventi sociali, dal momento in cui vengono ideati al momento in cui si conclude la loro realizzazione».

Il ruolo del Terzo settore

Secondo De Ambrogio e Guidetti, la co-progettazione è uno strumento e un metodo che apre scenari interessanti sia per le modalità nuove di rapporto con gli enti pubblici sia per la possibilità di creare alleanze all’interno dello stesso Terzo settore e con altri soggetti del territorio. Sono molte però le difficoltà sperimentate in questi anni, e lo dimostra l’esperienza dei Piani di zona, di un passaggio dalla gestione alla corresponsabilità degli interventi. Una delle più ricorrenti è relativa alla richiesta frequente che arriva dall’ente pubblico, affinché le organizzazioni non presentino proposte progettuali in forma singola ma attraverso la costituzione di aggregazioni formalizzate (RTI o ATI). «La dimensione del partenariato, in sé, non costituisce alcuna novità: cooperative sociali e consorzi agiscono frequentemente tramite partnership di vario tipo e dunque sono avvezzi a ciò che questo comporta.

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La co-progettazione presenta numerose difficoltà per i partner, ma apre orizzonti nuovi

Tuttavia, nella co-progettazione, questa dimensione di partenariato, è raddoppiata e richiede l’affinamento di modalità di raccordo tra gli enti del Terzo settore coinvolti, che consentano di rapportarsi all’ente pubblico come un soggetto unico. La questione non è banale, perché apre alla necessità di regolare e gestire una dinamica di rappresentanza tra soggetti autonomi che hanno caratteristiche organizzative, gestionali e culturali differenti e che magari si trovano, su altri terreni, anche a essere concorrenti tra loro. Ne deriva che i processi di co-progettazione si rivelano particolarmente impegnativi perché richiedono uno sforzo di partecipazione che non sempre è compensato sul piano economico, e costituisce quindi un investimento a tutti gli effetti».

Ed è proprio questa assunzione dei rischi una delle difficoltà che emerge guardando la co-progettazione dal punto di vista del Terzo settore, legata allo sforzo di superare logiche e modelli di intervento consolidati. Per De Ambrogio la prospettiva che permette di superare questi ostacoli «non può basarsi unicamente su un piano etico e valoriale, secondo cui la co-progettazione costituisce un modo concreto per partecipare alla costruzione delle politiche sociali e all’innovazione del welfare, perché questo ne limiterebbe la portata e la partecipazione a quelle organizzazioni che sono spinte da una forte dimensione valoriale nel loro agire e rischierebbe, nel tempo, di perdersi nelle fatiche e nelle energie profuse nella gestione dei processi. Credo invece che, in questa fase di sperimentazione dello strumento, sia importante per gli enti del Terzo settore sforzarsi di individuare e misurare il valore aggiunto che la co-progettazione porta con sé, per le organizzazioni stesse e per i cittadini che usufruiscono dei servizi e degli interventi. Partecipare attivamente alla definizione delle proposte progettuali, all’articolazione degli interventi e al loro monitoraggio e valutazione fianco a fianco all’ente pubblico può costituire, per le organizzazioni un’importante occasione di apprendimento sia di competenze tecniche sia di conoscenza di meccanismi istituzionali che può potenzialmente far crescere le organizzazioni e fornire spunti e strumenti spendibili in altri contesti».

Scritto da: Elisabetta Bianchetti

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